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La voce degli esperti

La paura e il coraggio: la storia di Gabriel

Intervista a cura di Roberto Marlavicino, Educatore Fondazione Asilo Mariuccia (Porto Valtravaglia)

Gabriel* oggi è un uomo di 25 anni. È stato un nostro ospite alcuni anni fa presso una delle nostre comunità di Porto Valtravaglia (VA). Non è mai semplice chiedere ai nostri ospiti di raccontarci la loro storia. Non è mai piacevole far loro ricordare dei momenti sofferti. Gabriel, è un ragazzo molto solare e gli piace molto la musica. Ha voluto sintetizzare la sua esperienza con le parole di Francesco Guccini: “La paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato. La paura e il coraggio di dire: ‘io ho sempre tentato io ho sempre tentato...’” (F. Guccini) Abbiamo intervistato Gabriel per conoscere come il suo periodo di permanenza presso la nostra Fondazione sia stato d’aiuto per il suo futuro.

Ciao, ci racconti brevemente il tuo arrivo all’Asilo Mariuccia e l’impatto iniziale?

Ero molto giovane, avevo poco meno di 15 anni. Ero un bravo ragazzo, andavo bene a scuola e avevo moltissimi amici. Purtroppo, poi la situazione attorno a me è degenerata, e quando il rischio di imboccare strade sbagliate si è fatto più vicino ho avuto la forza di chiedere aiuto, fortunatamente sono stato ascoltato. Ricordo perfettamente il giorno del mio ingresso all’Asilo Mariuccia. Sono stato prelevato a scuola, da un’auto delle Forze dell’ordine e dai servizi sociali, davanti a tutti i miei compagni e amici di scuola. Un vero shock. D’un tratto sono stato catapultato in una realtà completamente nuova, insieme ad altri ragazzi più grandi di me, quasi tutti stranieri. Ma non è tutto, all’improvviso c’erano gli educatori, ai miei occhi dei perfetti estranei che mi dicevano cosa fare e cosa no, cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Dovevo seguire delle regole, doveri, compiti. Inizialmente la mia reazione è stata buona, almeno apparentemente. Collaboravo senza opposizione, ma il disagio in me cresceva. In fin dei conti ero convinto di dover stare pochi giorni in Comunità, nella mia testa contavo i giorni rimasti da “scontare”.

E invece?

E invece la realtà era molto diversa. Una settimana è diventata un mese, poi due, poi tre, il tempo passava e dentro di me cresceva la rabbia, il senso di ingiustizia. A 14 anni, quando la vita ti mostra il suo lato crudele, ti senti in diritto di essere arrabbiato, in credito verso il mondo, ogni cosa ai tuoi occhi è senza senso e le colpe, persino le tue, ricadono puntualmente sugli altri. Ecco, il filo invisibile che legava tutti i ragazzi della Comunità era sicuramente la rabbia che poi, molto spesso, sfociava nella disobbedienza, nella insubordinazione e quindi negli eccessi. Un vortice che inevitabilmente ti conduce alla solitudine.

Come sei riuscito a reagire?

Lungo il mio percorso ho incontrato persone splendide che hanno creduto in me. Mi hanno aiutato a crescere, a gestirmi, a incanalare l’energia nella giusta direzione. Ho sempre sentito dentro me una grande forza, energia costruttiva, che ho sempre condiviso con gli altri. Il salto di qualità c’è stato quando ho imparato ad ascoltare ed ascoltarmi. Sarò per sempre grato a chi, con pazienza, mi ha insegnato a trovare l’equilibrio. È stato un percorso lungo e difficile ma ogni giorno sentivo la mia “base” diventare sempre più solida. Anche la scuola è stata fondamentale, l’Asilo Mariuccia ha fatto di tutto per non farmi perdere l’anno e proseguire gli studi.

Gli anni passano e diventi maggiorenne, devi lasciare la Comunità…

Sentivo di non essere pronto, non ero abbastanza corazzato per affrontare la vita “nel mondo reale”. Ho chiesto io di rimanere in Comunità e di poter completare le scuole superiori. E così è stato. Nel frattempo, ho iniziato a lavorare nelle pause estive dagli studi, prima come animatore per i bambini, poi come cameriere. Entrambe esperienze preziose e formative da un punto di vista relazionale e professionale.

Quando lasci l’Asilo Mariuccia?

Avevo 20 anni. Ero un giovane uomo ben diverso dal ragazzino rabbioso di cinque anni prima, ben consapevole però che il percorso non fosse finito. Anche grazie all’aiuto dell’Asilo Mariuccia che mi ha sostenuto per oltre un anno dalla mia uscita, sono riuscito ad ottenere una borsa di studio, iscrivermi all’Università e avere un alloggio nello studentato dell’Ateneo. Ho trovato anche lavoro come cameriere, che mi aiutava a mantenermi e a conoscere persone nuove, trovare nuovi amici. Sono stati anni bellissimi anche se faticosi, ma ero indipendente, finalmente avevo una vita “normale”. Ogni tanto il peso della responsabilità si faceva sentire ma bastava una telefonata ad un educatore fidato e tornava la serenità. Oggi ho una casa, un bel lavoro e il mio progetto di vita prosegue.

Se dovessi dare un consiglio ad un ragazzo che oggi vive in Comunità?

Devo confessare che ogni volta che torno a Porto Valtravaglia mi batte forte il cuore. Con alcuni ex compagni di viaggio ho mantenuto un buon rapporto ma l’affetto che ancora oggi provo per i “miei” educatori è speciale. L’unico consiglio che mi sento di dare a un ragazzo che sta vivendo la mia stessa esperienza è di usare al meglio il tempo che viene loro concesso. Questo spazio, questa cura e attenzione che oggi gli educatori dedicano loro non è scontato. Il mondo, fuori, non è così comprensivo e accogliente come chi si prende cura di voi in Comunità, credetemi. Se oggi sono in grado di osservare e capire la realtà con uno sguardo più maturo e consapevole è grazie a loro. Credete in loro perché questa opportunità la dovete soprattutto a voi stessi.

* Gabriel è un nome inventato. Per proteggere le persone che ospitiamo, non possiamo rivelare i loro veri nomi.