Povertà educative

Troppo spesso le parole non riescono a mettere davvero in luce tutti gli aspetti di un problema.


Quando diciamo Povertà, ad esempio, siamo immediatamente tentati di pensare alla mancanza di beni materiali, alla difficoltà delle famiglie e dei minori a reperire cibo adeguato, capi di vestiario, beni e servizi utili al proprio sviluppo e alla propria emancipazione. Se solo ci pensiamo un po’ comprendiamo subito che questo tipo di povertà, che le scienze sociali definiscono “povertà materiale”, è la porta verso un disagio estremo e, in molti casi, conduce le vittime tra le braccia della criminalità.

Questo è un aspetto del problema: ci sono i poveri, coloro a cui manca tutto e che, purtroppo, sono nelle condizioni di dover chiedere aiuto alle istituzioni per cercare di farcela un giorno in più.

Ma, come abbiamo detto prima, le parole non dicono tutto, almeno non subito.

Pensiamo a un bambino o a una bambina che, per motivi economici, sociali o semplicemente geografici, non riesce ad accedere alla scuola; pensiamo a un bambino o a una bambina che non può visitare un museo, che non può andare in gita, che non può fare esperienze educative. Pensiamo a un bambino o a una bambina che nasce in una famiglia a bassissima scolarizzazione che, per vari motivi, non riesce a emanciparsi dal livello di origine.

Questi bambini non sembrano poveri o, almeno, non sembrano “quei” poveri che siamo abituati a considerare. Magari non hanno problemi immediati di vestiario, magari possono mangiare tutti i giorni regolarmente, magari abitano in case adeguate. In altre parole non “sembrano” poveri. Non lo sembrano ma lo sono.

L’ONU e l’Unione Europea definisco questa forma di povertà con il termine: “povertà educativa”.


Si definisce Povertà Educativa la privazione, da parte dei bambini e delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni


Davanti ai bambini e ai ragazzi, si è soliti dire, si spalanca un mondo di possibilità che solo loro saranno in grado di afferrare e far fruttare. Non sempre è vero.

Emma ha 10 anni, è nata a Milano in uno di quei quartieri che spesso salgono agli “onori” delle cronache per le risse tra baby gang e per i brutti giri. La mamma di Emma lavora come scodellatrice e come colf, metà del suo lavoro è in nero. Il papà Emma non ce l’ha, se ne è andato un bel po’ di tempo fa e non si sa dov’è. Di certo aiuta poco o nulla, qualche volta spedisce qualche soldo per Natale. Emma e la mamma ce la fanno a sopravvivere, la mamma ha anche un piccolo sussidio e una rete di supporto. Ma di certo né Emma né la mamma possono andare al cinema e al teatro. Il massimo che possono fare è stare a casa, guardare la TV. Anche i libri sono troppo. La maestra di Emma le regala spesso dei testi della biblioteca di classe ma non sarà sempre così. Prima o poi le scuole elementari finiranno e con loro anche quella possibilità.

I genitori di Mohamed invece sono molto premurosi. Papà fa il muratore e ha una piccola azienda, la mamma è casalinga e si occupa di tutto quello di cui c’è bisogno in casa. Mohamed è arrivato dall’Egitto grazie al ricongiungimento familiare quando aveva 7 anni con la mamma e ora ne ha 9. Va a scuola, lo aiutano tanto, ma lui resta comunque indietro. La mamma non è d’aiuto. Lei l’italiano non lo ha ancora imparato, sa dire pochissime parole ma, soprattutto non capisce le persone quando le parlano. Mohamed spesso l’aiuta e cerca di farle da interprete ma ha difficoltà. Mohamed abita in un quartiere periferico di Roma, ma in centro, a vedere i monumenti, non ci è mai andato. Lui e la sua famiglia rimangono quasi sempre nel quartiere immersi nella loro comunità. Mohamed e la sua famiglia non sono poveri materialmente, possono comprare vestiti e cibo, ma sono tagliati fuori da molte opportunità.

Questi due piccoli esempi identificano fanno capire bene cosa sia la povertà educativa, tutti e due i bambini descritti sono “tagliati fuori”: da opportunità educative, da reti sociali diverse da quelle strette della propria comunità di appartenenza, dalla possibilità di accrescere le proprie competenze.

Quando vediamo un bambino che apprende qualcosa di nuovo, siamo rapiti dalla sua meraviglia. Questi bambini sono privati di questa meraviglia. Non l’avranno mai e il loro orizzonte si stringerà sempre di più, le strade che potranno scegliere saranno sempre meno. Non avranno modo di sognare un futuro diverso, forse non avranno nemmeno idea delle possibilità che il futuro potrebbe mettere davanti a loro.

La povertà educativa in questo senso può diventare povertà materiale perché, in futuro, la società cercherà competenze e capacità che questi bambini, senza alcuna colpa, non si sono create.

Ma la povertà educativa è anche vicinanza a un mondo di valori rigidi e ristretti, a difficoltà di accettare cambiamenti. Questo aumenta il conflitto tra le comunità e le tensioni sociali.

In Italia il contrasto alle povertà educative è una priorità. Deve esserlo per i governi e le istituzioni, lo è per noi che accogliamo famiglie in difficoltà. Il nostro obiettivo è anche questo: lavorare per riempire di sogni e speranze il futuro dei nostri piccoli ospiti e delle loro famiglie.