Accogliere una persona in difficoltà è una sfida difficile, va affrontata con passione e dedizione ma, soprattutto con rispetto verso i destinatari dei nostri interventi. Un intervento educativo è tanto migliore quanto è in grado di migliorare le condizioni di un utente facendo forza sulle sue capacità e competenze. Nessuno si aiuta da solo e, per contro, nessuno può aiutare il prossimo andando contro le sue attitudini, le sue qualità e i suoi desideri per il domani.
Se quanto affermato è vero per tutti gli aspetti del nostro lavoro di educatori è addirittura imperativo quando parliamo del mondo dell’inserimento lavorativo dei nostri ospiti. Lavorare all’interno di un’area così importante nella vita delle persone è anzitutto coniugare il presente con l’anelito verso il futuro.
Tutti i nostri ospiti, dalle mamme delle comunità e degli alloggi per l’autonomia di Milano e Sesto San Giovanni ai minori di Porto Valtravaglia, hanno una caratteristica in comune: sono qui di passaggio. Si fermano da noi per un momento (più o meno lungo) e poi ritornano nei loro mondi di provenienza. Quando devo cercare di spiegare il lavoro che facciamo all’interno delle nostre strutture mi piace usare il paragone della stazione di servizio, durante un lungo viaggio verso una meta sconosciuta. Noi, gli educatori e, più in generale gli operatori, siamo il personale di quella stazione di servizio: diamo una sistemata a quello che a volte, per molti motivi, si inceppa, ma poi, una volta usciti dalle nostre comunità, sarà il nostro ospite a dover guidare fino alla meta. Quello che possiamo fare noi, durante la sosta, oltre che ad aggiustare qualche ammaccatura, è fornire le competenze e le capacità per fare, un domani, a meno di noi.
In quest’ottica il lavoro è una componente importantissima. È insieme un mezzo per garantirsi una vita autonoma e uno strumento educativo per rilanciare le proprie esistenze all’interno del mondo delle relazioni e della società come siamo abituati a pensarlo.
La nostra prima preoccupazione, all’inizio del progetto individuale di inserimento lavorativo è quella di capire la persona che abbiamo davanti, quali i suoi sogni e le sue aspettative; quali le paure, le angosce e le difficoltà.
Si parte sempre dai sogni e dalle speranze. Nessuno di noi progetterebbe mai un viaggio partendo da quello che potrebbe andare storto. La cosa importante è sempre il saper fare, la competenza. Quella che con un termine psicologico definiamo l’autoefficacia.
Non è semplice, tutte le azioni che vanno sotto il nome di Bilancio delle Competenze sono un momento di grande riflessione su se stessi e, contemporaneamente, un momento in cui si comincia a intravvedere un modello del domani.
“Mi piacerebbe fare… ma ne sarò capace?”
“Ho provato questo lavoro ma ero triste e non mi piaceva.”
“Mi sono trovata a dover fare questo mestiere quasi inconsapevolmente e ho scoperto che era bellissimo, mi sentivo realizzata e sentivo che gli altri si fidavano di me.”
Qui si gioca un lavoro cruciale. È necessario fare un’operazione artigianale e al contempo professionale: saldare il Verticale con l’Orizzontale, i sogni con le competenze, i desideri con le qualità possedute o da acquisire.
Davanti all’utente che ci rivela il proprio desiderio di sperimentarsi in un campo piuttosto che in un altro non dobbiamo in alcun modo essere preclusivi, a noi compete accogliere la richiesta e cominciare a lavorare sulle competenze richieste. Per fare il meccanico bisogna saper fare alcune cose, per fare la commessa o l’OSS altre.
Alcune competenze sono specifiche, altre sono trasversali. Non possiamo prescindere da quelle che definiamo abilità di base, prima tra tutte la lingua italiana. Dalle minime competenze informatiche che, ormai, sono diventate assolutamente imprescindibili.
Offriamo alle nostre ospiti, proprio al fine di rafforzare queste competenze, una serie di corsi di lingua e di introduzione all’informatica nel laboratorio adibito presso la nostra sede di Sesto San Giovanni.
A seguito di tutto questo lavoro fatto all’interno del nido sicuro delle nostre strutture lo step decisivo è quello dell’ingresso (o del ritorno) nei luoghi di lavoro. Dello sperimentare tutto quello che si è appreso nel terreno dell’esperienza pratica. Questo è un momento emozionante e al contempo gonfio di preoccupazioni sia per l’utente sia per noi che ne siamo accompagnatori. Spesso tutto va per il verso giusto, altre volte è necessario tornare ai box e vedere se è necessaria una nuova messa a punto. A volte, purtroppo, ci si deve scontrare con la delusione e il fallimento. Anche questo è parte del percorso. A noi spetta, qui, di risignificare anche un momento triste, di cercare la parte positiva di un’esperienza andata male. Supportare e spingere a un nuovo rilancio.
Strategica per favorire questa fase è la rete che via via si va costruendo tra la nostra realtà, le agenzie formative del territorio, tra cui ricordiamo il consorzio Mestieri Lombardia, il CELAV del comune di Milano e la cooperativa sociale Cometa, e la cooperativa sociale Il Portico; e le aziende che sul territorio si spendono per l’inserimento lavorativo diretto dei nostri ospiti.
Un’alchimia complessa che resta in equilibrio soprattutto per la grande dedizione di tutti gli attori coinvolti in un progetto corale. Senza l’impegno di tutte le strutture e le realtà del territorio questo sforzo sarebbe vano. Vanno qui ricordati e ringraziati l’Associazione AITD onlus e Ciscos/Ugl che grazie alla donazione dei materiali informatici e al supporto dei loro volontari hanno reso possibile creare il laboratorio informatico per l’insegnamento della lingua italiana aperto a tutti i nostri utenti.
Grazie al loro supporto, il percorso di tutti i nostri ospiti, delle nostre mamme, dei nostri bambini e ragazzi, diventa una sfida verso un futuro di realizzazione e speranza.